sabato 29 marzo 2008

Corriere. "Aspettando Napolitano"

di David Allegranti

Italiane, europee, regionali, provinciali, comunali, dell'Onu, della pace, dell'Unicef, con tre colori, con sei colori, blu con le stelline gialle, col giglio, col mondo sopra, avvolte in un abbraccio che neanche il vento forte scioglierebbe, un po' lerce, un po' sdrucite, un po' timide, un po' tristi, quasi sempre poco istituzionali. Sono le bandiere che, come salici piangenti, stanno sui pennoni degli edifici pubblici fiorentini. È un grigio spettacolo quello che accoglierà lunedì l'arrivo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per celebrare i 60 anni della Costituzione e l'Aeronautica militare.
(CONTINUA A PAGINA 7)

SEGUE DALLA PRIMA
Il drappo coi colori dell'arcobaleno s'è fatto più raro, quasi inesistente. «Pace da tutti i balconi!» era il motto della primavera 2003, quando scoppiò la seconda guerra del Golfo. Anche Firenze, come altre città italiane, rispose idealmente ai cannoni americani, esponendo alle proprie finestre la «rainbow flag», simile a quella più nota nel mondo, appartenente al movimento di liberazione omosessuale. Cinque anni dopo, la presidenza della giunta regionale ospita ancora la bandiera iridescente, appesa al balcone su cui stanno le aste con bandiera italiana, europea, Onu e regionale. Il vessillo della pace è un po' sporco, e potrebbe pure essere un segno dei tempi. Ma le due bandiere - italiana ed europea -, sudice e attorcigliate, del liceo ginnasio Galileo in via dei Martelli, uno dei più prestigiosi della città, rappresentano non i tempi, ma solo la differenza che c'è fra un Paese che ama la propria bandiera e uno che la tratta con sufficienza, quella differenza «che c'è - come scrisse nel 2001 Oriana Fallaci sul Corriere della Sera tra un Paese nel quale la bandiera della Patria viene sventolata dai teppisti negli stadi e basta, e un paese nel quale viene sventolata dal popolo intero».
E che dire del Palazzo delle Poste di via Pellicceria, con le sue bandiere consunte e tendenti al grigio? Non dimentichiamo, per completezza d'informazione, la sede del corpo di Polizia Municipale, presidio di Santo Spirito reparto ciclisti, che offre allo sguardo una bandiera europea più piccola di quella italiana. E ancora: sporche e sfilacciate sono pure quelle della Procura in piazza della Repubblica. Ha scritto una volta Filippo Facci: «La bandiera siamo noi, il resto è individualismo, i simboli servono da esempio per i comportamenti delle persone, servono per educarle ai valori su cui si è fondata la società in cui vivono». Ma se i simboli sono anneriti dallo smog, che valori ispirano? Nel 1998 sono stati stanziati 200 milioni del vecchio conio (e 50 milioni nel 1999) per attuare la legge che dispone l'uso della bandiera della nostra Repubblica e quella dell'Unione europea. A che serve avere un Dipartimento del Cerimoniale di Stato se poi la cerimonia non ha nulla di solenne? A che è servito spendere quei quattrini? Insomma, se rito ha da essere, che almeno sia fatto bene. Lunedì in Palazzo Vecchio, durante le celebrazioni, saranno letti i primi 12 articoli della Costituzione.
Il quinto toccherà al sindaco Domenici, l'allenatore della Fiorentina Cesare Prandelli invece leggerà il dodicesimo, proprio quello sul nostro drappo: «La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali, di eguali dimensioni». Per l'occasione il Comune ha anche messo online, su You Tube e www.lacostituzioneitaliana. eu, la Carta tradotta in undici lingue. E dunque, che per questa occasione le bandiere non assomiglino ai calzini di Paul Wolfowitz, ex presidente della Banca Mondiale, quando l'anno scorso si recò in visita alla moschea turca di Edirne. Bucati e col pollicione bene in vista. Che dite, prima delle celebrazioni, gliela diamo un po' di candeggina al tricolore?
David Allegranti - 27/3/2008

giovedì 27 marzo 2008

Corriere. "Il verde alla scoperta dell'Isolotto"

Il '68 cattolico L'esperienza fiorentina di Alex Langer, «costruttore di ponti» San Cristoforo era la sua icona, ma lui non resse al peso della sua «missione»

Il traghettatore verde

Dal notiziario dell'Isolotto alla Lettera di Milani «Vengo a conoscere la variegata sinistra italiana»

Un «costruttore di ponti», un «traghettatore di speranza». Fra le tante definizioni coniate per ricordare Alexander Langer, queste due sembrano le più pregnanti. Due definizioni in grado di sopravvivere, insieme ai suoi scritti, a quella corda da montagna e a quell'albero di albicocco al Pian dei Giullari, a quel definitivo gesto con cui mise fine alla sua esistenza, un giorno d'estate del 1995. Giornalista (inviato e poi direttore di Lotta continua), traduttore (conosceva cinque lingue) e insegnante, Langer è stato infatti un grande sostenitore della convivenza interetnica, nonché fra i promotori, negli anni '80, dei Verdi in Italia e in Europa. E non a caso, nel '67 fondò una rivista e la chiamò Die Brucke, il ponte. Ebbe un rapporto duraturo e intenso con la Firenze di Ernesto Balducci, Giorgio La Pira, Enzo Enriques Agnoletti, Lorenzo Milani ed Enzo Mazzi.
In quella Firenze, all'epoca del «dissenso cattolico », studiò per prendersi la prima laurea, in giurisprudenza, e incontrò tanta gente. Da La Pira, suo professore di diritto romano, al prete- operaio Auro Giubbolini, a Marianne Andre, anziana ebrea austro-boema assieme alla quale tradusse in tedesco Lettera a una professoressa.
Furono persone del genere a fargli dire «in passato ho forse imparato di più dai libri. Nei tempi più recenti mi sembra di imparare di più dagli incontri».
Langer, nato in Sudtirolo, arrivò nel capoluogo toscano dopo la maturità. «Senza molta convinzione mi iscrivo a Giurisprudenza. Con molta convinzione vado a studiare a Firenze. Ci resto intensamente dal 1964 al 1967. Meno intensamente ci starò anche nel 1968. Non me ne pentirò mai. Sono gli anni del dialogo tra cattolici e marxisti. Vengo a conoscere la variegata sinistra italiana. Scopro in particolare la sua componente popolare». Così scriveva di se stesso sulla rivista Belfagor nel marzo 1986. Nel '68, all'età di 22 anni, Langer abitò per quasi un mese nei locali della parrocchia dell'Isolotto. Un ricordo di quel-l'esperienza l'ha raccontato Enzo Mazzi nel numero che Testimonianze ha dedicato, nel 2005, al decennale della morte del politico-impolitico di Sterzing-Vipiteno (che fra le altre cose, è stato il primo presidente del Gruppo Verde all'Europarlamento, nel 1989). «Contribuì fra l'altro – ha scritto don Mazzi – a far nascere il "Notiziario della Comunità dell'Isolotto". Non si contentava di collaborare alla redazione e alla faticosa stampa col ciclostile: dopo notti insonni, alle cinque del mattino prendeva il suo pacco di Notiziari per distribuirlo alla passerella, che attraversando l'Arno unisce l'Isolotto con le Cascine».
A Firenze incontrò anche Valeria Malcontenti, che in quel periodo studiava Scienze naturali e frequentava la Federazione Universitaria Cattolica Italiana. Si sposarono nel 1985. Oggi la professoressa Malcontenti insegna all'Itc Alessandro Volta di Bagno a Ripoli. «Mio marito ha avuto un lungo e significativo legame con Firenze – ha detto lo scorso ottobre, in una delle rare occasioni in cui ha accettato di parlare del suo compagno – e io sono molto grata a Sesto Fiorentino, la prima città della Toscana che gli dedica una strada».
Era un visionario, Alex Langer, uno che propugnava una continua «conversione» come antidoto alla burocratizzazione, all'indifferenza e alla fine dell'idealismo; fra le possibili conversioni, ne indicò/invocò una ecologica. Come ha scritto Mario Lupi – oggi presidente del gruppo Verdi in Regione – su Testimonianze, «la visione per cui non ha smesso un attimo di studiare e agitarsi era quella di una società globale dominata dalla tolleranza con l'obiettivo della convivenza». Nell'ultima parte della sua vita, la guerra dei Balcani fu la tragedia che più di ogni altra occupò il suo sforzo politico e di pace. L'ultimo dolore, dopo una vita passata a proporre soluzioni per «passare – come si legge in una sua lettera a San Cristoforo – dalla ricerca del superamento dei limiti ad un nuovo rispetto di essi e da una civiltà dell'artificializzazione sempre più spinta ad una ricoperta di semplicità e frugalità», arrivò a Langer nel maggio '95, quando venne escluso dalla candidatura a sindaco di Bolzano, per aver rifiutato, in occasione dei due precedenti censimenti, la dichiarazione di appartenenza etnica. Gli scritti (1961-1995) di Alexander Langer sono stati pubblicati da Sellerio in un libro intitolato Il viaggiatore leggero. A chiusura del volume c'è appunto la lettera del 1990 a San Cristoforo, «omone grande e grosso, robusto, barbuto e vecchio », guerriero diventato traghettatore che di solito viene raffigurato mentre porta sulle sue spalle il Cristo bambino, che a ogni passo si fa sempre più pesante.
Al contrario di Cristoforo, Langer non resse il peso del mondo che si era caricato sulle spalle e ne fu sopraffatto. Nel biglietto con cui si congedò, a 49 anni, scrisse: «I pesi mi sono divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio più. Vi prego di perdonarmi tutti anche per questa mia dipartita. Un grazie a coloro che mi hanno aiutato ad andare avanti. Non rimane da parte mia alcuna amarezza nei confronti di coloro che hanno aggravato i miei problemi. "Venite a me, voi che siete stanchi ed oberati". Anche nell'accettare questo invito mi manca la forza. Così me ne vado più disperato che mai. Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto». C'è bisogno di altri ponti e altri traghettatori per far viaggiare la speranza.

David Allegranti 26/3/2008

mercoledì 19 marzo 2008

Corriere. "Tibet, la bandiera sbiadita dei pacifisti"

di DAVID ALLEGRANTI
Nel marzo del 2003, quando scoppiò la seconda guerra del Golfo, il motto dei pacifisti era: «Pace da tutti i balconi». Anche Firenze si riempì di bandiere arcobaleno. Lo slogan kennedyano «siamo tutti americani », tornato in voga dopo l'11 settembre, divenne «siamo tutti iracheni». Qualcuno disse pure: «siamo tutti antiamericani».
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Oggi la repressione cinese in Tibet sta occupando le prime pagine dei giornali. Matteo Mecacci (rappresentante del partito radicale transnazionale all'Onu a New York) domenica scorsa si chiedeva che fine hanno fatto i «pacifisti fiorentini che sventolano bandiere arcobaleno dalle finestre» e «perché a Firenze a nessuno viene mai in mente di protestare contro l'infamia di uccidere monaci». L'editoriale del Riformista di ieri, «Contro quelli che del Tibet se ne fregano», sosteneva che «tra di noi… ci sono molti "cinesi", persone per bene che però non vogliono guai, che sanno che la Cina è già una superpotenza… Poi ci sono gli "anti-americani", quelli che sarebbero pronti a tutto in nome di tutti i popoli angariati dall'altra e più cattiva superpotenza; ma non muovono un dito se non c'è occasione di bruciare una bandiera a stelle e strisce».
La sinistra toscana s'è fatta trovare un po' impreparata e nella giornata di ieri c'è stata una gran rincorsa al comunicato e alla dichiarazione sinotibetana d'urgenza. Il presidente della Regione Claudio Martini, che sabato ha condannato con una nota la repressione cinese della rivolta, sembra iscriversi al partito di quelli che al Tibet ci tengono. Per Martini si tratta di «una protesta che nasce per sensibilizzare l'opinione pubblica internazionale all'indipendenza del territorio al confine tra Cina e India nel momento in cui la Cina si appresta ad ospitare le Olimpiadi». Secondo il governatore, Pechino compie un errore «nel pensare che con la violenza si possa fermare le ragioni dei tibetani, così come dimostrano le vicende birmane. La pace può essere raggiunta solo attraverso il rispetto dell'altro e con il raggiungimento della libertà per un popolo oppresso ormai da troppi anni». Domani l'assessore regionale alla cultura Paolo Cocchi – insieme all'Orchestra Pucciniana e alla Fondazione Strozzi – partirà per la Cina. Nelle prossime settimane sarà a Pechino anche Giuseppe Bertolucci, assessore regionale alle politiche del mare, per una missione dedicata alle tematiche portuali. «Vogliamo valorizzare la cultura cinese e italiana ma anche quella tibetana, che non può essere nascosta», ha aggiunto ieri Martini, che ha invitato il Dalai Lama al Meeting di San Rossore 2009 (dedicato a Galileo e al dialogo tra scienza, cultura e pace).
Dice Ornella De Zordo, consigliere comunale di unaltracittà/unaltromondo: «È vero che finora non ci sono state posizioni ufficiali del movimento pacifista fiorentino. Il movimento per la pace non è un partito e lavora su tempi diversi. Si parla di boicottare o meno le Olimpiadi, come se fosse l'unico mezzo che a livello internazionale esiste per fare pressioni sul governo cinese. Dico che non ci sono solo le Olimpiadi, che pure devono essere usate come momento di denuncia e di pressione sul governo di Pechino. Faccio notare che esiste un commercio delle armi e che l'Italia, nonostante ci sia un embargo, nel 2005 ha venduto armi a Pechino per 400 mila euro. Ci sono molte forme di pressione sul governo cinese che possono essere fatte». Non si protesta soltanto con le bandiere appese ai balconi, dice la De Zordo. «Ci vogliono anche le sanzioni economiche. Da pacifista mi sento di dirlo: sono stanca di sentire parole di uomini politici che condannano la Cina a voce, ma poi non fanno niente per migliorare la situazione ». A chi parla? A Martini? «Insomma, non so quanto il governatore di una regione ne abbia la possibilità, però certo: bisogna iniziare a interrompere i rapporti commerciali con Pechino. Questo sarebbe un atto concreto. La Cina non rappresenta una realtà non democratica, questo mi pare sia molto chiaro al movimento pacifista. Però non accetto questa critica dal partito radicale, che si è svegliato sui fatti della Cina, in quanto a pace. Ognuno guardi in casa propria invece di criticare gli altri. Non è che io abbia visto moltissimi del partito radicale alle manifestazioni pacifiste fatte su altri fronti».
Patrizio Mecacci, ex segretario della sinistra giovanile e ora nella segreteria regionale del Pd, dice di sentirsi un pacifista.
Ma spiega: «Matteo Mecacci ha pienamente ragione, perché c'è un movimento per la pace che si è ripiegato su se stesso, attorno a logiche identitarie e, assumendo una dimensione settaria, ha perso di vista i problemi fondamentali del mondo. Ci sono tante begucce interne al movimento della pace e poca tensione sui grandi problemi globali. C'è una gara di autorivendicazione personale. Io ho conosciuto un altro movimento, con altre ambizioni, con una spinta diversa. Forse sarà colpa anche dello scenario politico nazionale, che obbliga a inseguire l'elettorato su temi di natura socio-economica. Ma di sicuro occorre rifondare il movimento per la pace».
Ieri pomeriggio, davanti al consolato cinese di via della Robbia, militanti del partito radicale hanno manifestato per sostenere il popolo tibetano e il Dalai Lama. Pd e sinistra arcobaleno – ammettono – non ne erano a conoscenza. Questo perché, dicono, «il partito radicale lavora un po' per conto suo». Ieri in consiglio comunale, durante la discussione di un ordine del giorno su Cina e Tibet, Giovanni Donzelli, consigliere comunale di An, ha presentato una mozione cui gli assessori Paolo Coggiola e Gianni Biagi avrebbero risposto - sostiene Donzelli - «mostrando il pugno chiuso e sfoggiando il simbolo della falce e martello». Una certa sinistra è riuscita ancora a farsi notare. Ce n'era bisogno?

David Allegranti - 18/3/2008

martedì 18 marzo 2008

Corriere. "La città degli invalidi al volante"

"Troppi disabili, i furbi si devono vergognare"

«Io non sono un medico, non sono un tecnico, però il dato di oltre 14 mila permessi per invalidi su 360 mila e passa abitanti di Firenze mi sembra eccessivo.
Secondo me, a Firenze, le persone che hanno gravissime difficoltà di deambulazione non sono più di 3-4 mila, e già mi sembrerebbe un numero elevato». A dirlo è Alessio Focardi, responsabile dell'Ufficio Disabili della camera del lavoro metropolitana di Firenze. «Notare bene: a Roma, che ha due milioni e mezzo di abitanti, il numero di contrassegni sale a poco più di 25 mila. C'è qualcosa che non torna, no? Direi che non c'è proporzione». Ottima la politica dei controlli a tappeto, aggiunge.
«È un bene — spiega Focardi — che il Comune faccia dei controlli.
Ovvio, ci sarà sempre qualcuno che se ne approfitta, però è bene che i furbi almeno si vergognino di quello che fanno: sfruttare la situazione della nonna o del cugino per andare in centro o usare le corsie preferenziali. Però, si poteva cominciare a farle prima queste verifiche». La ricetta, aggiunge Focardi, deve essere anche di «prevenzione culturale».
Bisogna aumentare il senso civico. Per esempio fare dei corsi nelle scuole, mettendo in evidenza le problematiche dei disabili. Per evitrare che i ragazzi lascino il motorino sul marciapiede o vicino alle rampe d'accesso per portatori di handicap».
D. Al. - 15/3/2008

sabato 15 marzo 2008

Corriere. "Denis, tagliatore di teste: 'Politica più forte dell'amicizia'"

«Non c'è stata nessuna vendetta politica». Denis Verdini risponde così a chi lo accusa, da dentro Forza Italia, di aver costruito le liste elettorali inserendo solo i propri uomini di fiducia, senza tener conto di chi negli ultimi anni ha lavorato duramente in Consiglio regionale.
Due giorni fa è scoppiato il caso di Maurizio Dinelli, capogruppo azzurro in Regione, che si è dimesso attaccando le scelte di Verdini. «L'arrabbiatura di Dinelli – dice il capo della segreteria politica del coordinamento nazionale degli azzurri – è legittima fino a un certo punto, perché a livello nazionale Forza Italia ha deciso di non mettere i consiglieri regionali nelle liste, visto che sono ben 156. Sono state fatte delle eccezioni nelle regioni dove il Senato è a rischio (Piemonte, Liguria, Abruzzo, Calabria, Lazio). In questi casi i consiglieri sono stati messi nella quota del premio di maggioranza, in maniera che portino voti alla coalizione. Quanto a Dinelli, non rimarrà disoccupato, è capogruppo regionale ». Però ha dato le dimissioni, che il gruppo azzurro ha deciso di «congelare» fino a dopo le elezioni. «Quando uno dà le dimissioni, di solito si aspetta che vengano respinte. Non tocca a me accettarle, c'è un gruppo che ha la sua autonomia. Però mi sembra un modo un po' bizzarro: congelare le dimissioni, che vuol dire?».
Fra gli italo-forzuti qualcuno lo ha ribattezzato il «tagliatore di teste ». Lui però, che viene dipinto dai detrattori interni al partito come un princeps legibus solutus, non gradisce la definizione. È un mestiere difficile essere il capo del centrodestra da queste (rosse) parti. E Denis da Fivizzano (di cui è originario anche il poeta-politico Sandro Bondi), che fra le altre cose è editore del Giornale della Toscana, presidente del Credito cooperativo fiorentino e consigliere delegato del Foglio di Giuliano Ferrara, è conscio di aver svolto, sulle candidature, un lavoro sgradevole per chi è rimasto fuori. Che però andava fatto.
Raccontano che Angelo Pollina, vicepresidente forzista del Consiglio regionale e amico di Verdini, ci sia rimasto male. Ci teneva a essere candidato in Parlamento. Dice Verdini: «Sono molto dispiaciuto, anche sul piano umano perché Pollina è un amico, ma certe volte le vicende della politica sono più forti. E la decisione presa a livello nazionale vale anche per lui». Verdini inoltre non accetta le accuse «di dispotismo» che vengono dall'interno di FI. Il coordinatore regionale è un tipo sanguigno. Lo sa Carlo Taormina, che un paio d'anni fa lo accusò di gestire il partito toscano in maniera sovietica e di aver fatto perdere al partito voti. «Verdini – disse l'avvocato – ha condotto il partito alla disfatta più clamorosa, una caduta verticale che non ha pari in Italia». La replica di Verdini non si fece attendere: «Avessi vent'anni risolverei la questione a modo mio». Per Verdini – ribadisce oggi a chi gli muove le stesse accuse – «la contrazione dei voti è stata fisiologica. FI ha avuto una flessione a livello nazionale fra il 2001 e il 2006 dal 29,7 a 23,9%. La Toscana non è mica in Argentina, è in Italia. D'altronde, anche in Lombardia, dove c'è un presidente straordinario come Formigoni, c'è stato un calo. Con Forza Italia e An insieme avremo risultati positivi».
David Allegranti - 14/3/2008

giovedì 13 marzo 2008

Corriere. "La città è anche mia, non solo dei residenti" / "Quella non è musica e d'estate sono disperata"

Dibattiti Chiudere il centro alle auto, vietare gli alcolici, regolare i concerti. Basterà o è troppo?
Una notte non basta
Il Comune annuncia i nuovi orari ridotti della zona blu. Ed è scontro fra chi vuole divertirsi e chi vuole dormire

“A me, da cittadino di Firenze, piacerebbe che una persona del Comune spiegasse – se c’è – la motivazione vera e intelligente di questa Ztl notturna. Perché io davvero non riesco a capire il senso di questa cosa”. Il giovane scrittore Pietro Grossi, autore di “Pugni” e “L’acchito”, entrambi pubblicati da Sellerio, è furente: il centro, dice, deve essere di tutti, non solo di chi ci abita. “Mi diano una spiegazione ragionevole – spiega – altrimenti è solo un modo per raccattare quattrini. Altrimenti è una forma di tassazione occulta. Non vedo perché un cittadino che sta in centro debba essere più importante di uno che sta fuori. La città è anche mia e mi piacerebbe essere messo in condizione di poterla usare”. Grossi capisce i bisogni dei residenti, perché “non sono un cinico, però dico anche che la città non è solo loro. Ripeto, se c’è una motivazione di fondo che sta dietro tutte queste fastidiose politiche che riguardano il problema dei parcheggi o quello della circolazione, se c’è una logica coerente di gestione della città, ce lo dicano e valuteremo. Se non c’è, se lo pongano loro il problema. Perché noi cittadini ci siamo rotti le scatole di essere presi in giro e rapinati quotidianamente da queste imposte occulte. Con tutto l’affetto del mondo – conclude – non è colpa nostra se le amministrazioni non sanno come far quadrare i bilanci”.

D. Al. - 13 marzo 2008


“Ci vogliono più controlli”. A dirlo è Franca Falletti, direttrice della Galleria dell’Accademia. Dice di essere “inferocita”. Non vuole il silenzio assoluto per le vie della città, ma chiede un “ragionevole compromesso”. “Non voglio la città morta – dice – la voglio vivibile. Per questo ci vuole un maggiore controllo, perché, è vero, ci sono i giovani che si devono divertire, ci sono i gestori di bar o altri locali che devono lavorare, ma ci sono anche i residenti che abitano in centro, che già pagano un prezzo durissimo e che non guadagnano niente dalla grande massa di turismo che visita questa città. Non si può quasi più camminare per le nostre strade, veniamo travolti da questa massa di turisti. Quindi, siano considerate anche le nostre esigenze”. Di fatto, aggiunge, l’amministrazione qualcosa fa. “Cioni (Graziano, assessore alla polizia municipale, ndr) a volte dà dei segnali in questo senso, però ci vorrebbero molti più controlli, perché i vigili la notte non ci sono e i locali fanno quello che gli pare, fanno un casino orrendo. Nelle piazze i decibel superano di gran lunga il limite consentito”. I problemi aumentano nel periodo estivo, dice. “D’estate sono disperata, non ci vivo. Tutte le sere, dal 20 di maggio al 10 di settembre, sotto casa mia ci sono sempre 80 decibel di casino, perché a questo punto non si può più neanche chiamare musica”.
D. Al. - 13/3/2008



Corriere. "Giordano riparte da Sesto. E dal conflitto di classe"

Una bandiera della Palestina, i numeri di telefono dei giornalisti da contattare attaccati a un'asse di legno, una foto dell'ex patron Carlo Rinaldini, morto l'anno scorso, con la scritta «quest'uomo ha rovinato la Ginori», una bara di cartone con due date segnate sopra, 1735 — l'anno di fondazione della Richard Ginori — e 2006 — l'anno del tracollo. Segue, accanto al 2006, un punto interrogativo. Sta a significare: ci sarà ancora un futuro per l'azienda? Sono i residui della lotta sindacale (30 mila ore di sciopero) che ha migliorato, nel giro di due anni, la condizione della storica fabbrica di porcellane di Sesto Fiorentino. I rimasugli sembrano dei trofei e stanno nella stanzetta dove si riunisce la Rsu, rappresentanza sindacale unitaria.
È da quattro mura come queste che Franco Giordano, segretario di Rifondazione comunista e capolista alla Camera in Toscana per «la Sinistra l'Arcobaleno», fa partire la campagna elettorale fiorentina della cosiddetta sinistra radicale. Giordano — che incontra anche le rappresentanze sindacali di Telecom, Manetti&Roberts ed Electrolux — torna in viale Giulio Cesare dopo due anni dalla sua ultima visita, per vedere com'è cambiata la situazione e per tastare il polso all'elettorato operaio, che è deluso da come si sono messe le cose con Prodi.
«Il disincanto verso la politica c'è – spiega Giovanni Nencini, coordinatore della Rsu della Ginori e candidato al senato per il partito arcobaleno – però la nostra lista sta diventando un punto di riferimento per i lavoratori». D'altronde, il Pd candida i «padroni» nelle proprie liste: Massimo Calearo e Matteo Colaninno, per esempio. E l'equazione veltroniana, quella che mette sullo stesso piano imprenditori e lavoratori, da queste parti viene mal digerita. Dunque Giordano riceve adesioni quando rispolvera, con orgoglio, il «conflitto di classe». Senza il quale, spiega, la vicenda della Richard Ginori, passata dal quasi fallimento a una situazione, odierna, di «relativa tranquillità», non si sarebbe mai risolta (sono state fatte persino delle assunzioni, 20 circa). Alla Manetti&Roberts, invece, Giordano incontra un altro candidato al Senato della sua lista, Renzo Torrini, che fa parte, come Nencini, della Rsu. I lavoratori gli spiegano che il problema dell'azienda riguarda soprattutto il mercato, che è saturo. Il borotalco traina l'azienda, che va bene e non ha problemi, ma è tutto un problema di marketing.

David Allegranti - 13/3/2008

sabato 8 marzo 2008

Corriere. "Balducci, testimonianze di frontiera"

Saccardi: «Pentimento? Nostalgia? No, ci è rimasto il bisogno di maggiore giustizia»

Ribollivano le acquasantiere, a quell'epoca. Correvano i Sessanta, gli anni della lotta fra la «Chiesa che nasce dal basso» e la «Chiesa istituzionale », gli anni dell'obiezione di coscienza e dei processi per apologia di reato. Gli anni in cui uno scolopio, di nome Ernesto Balducci, promuoveva il dialogo fra laici e cattolici (dicotomia che, raccontano, lo avrebbe fatto infuriare «perché impropria»), l'incontro fra Chiesa e mondo, e si scontrava con l'arcivaticana curia di Firenze. Una curia allora così diversa dalla Chiesa fiorentina che, negli anni Cinquanta, aveva prodotto un «momento di grazia», ritenuto unico e non reiterabile. Una Chiesa in grado di fornire un modello esemplare – come ha scritto Bruna Bocchini Camaiani – «progressista sul piano politico-sociale e anticipatore del Concilio». Balducci commemorò quel periodo irripetibile a poche settimane dalla morte di Elia Dalla Costa, arcivescovo di Firenze e predecessore di Ermenegildo Florit. «Quanto a noi – scriveva lo scolopio – è certo che ricorderemo per sempre, con indicibile rimpianto, gli anni in cui la Chiesa fiorentina, in perfetta pace, offrì lo spettacolo di un vescovo come Elia Dalla Costa, di un sacerdote come don Giulio Facibeni e di un laicato come quello che ha portato, con Giorgio La Pira, la testimonianza politica dei cattolici ad un prestigio senza confronti».
Grande amico di La Pira, Balducci trovò, lungo il suo cammino, l'ostilità della gerarchia ecclesiastica, che mal digeriva il suo rapporto col «sindaco santo». Nel 1959 fu infatti allontanato da Firenze e mandato prima a Frascati e poi a Roma. Gli storici, per descrivere la condizione balducciana di quel periodo, non esitano oggi a usare la parola «esilio» (seppure edulcorata dalle virgolette). L'allontanamento gli permise tuttavia di seguire da vicino il Concilio Vaticano II, che gli dette speranza: aveva fiducia in una possibile riforma della Chiesa imperniata sul primato della Parola di Dio. Ma altri guai arrivarono nel 1963, poco dopo la celebrazione del processo a carico di Giuseppe Gozzini, il primo obiettore cattolico in Italia, quando Balducci rilasciò un'intervista al Giornale del mattino. Nell'articolo spiegava che era necessario ridimensionare un «concetto enfatico di patria» e invocava il «dovere di disobbedire » in alcuni casi. Per queste affermazioni, fu denunciato e processato. Al termine del dibattimento Balducci fu condannato per apologia di reato. L'anno dopo, nel '64, fu ricevuto da Paolo VI, cui chiese di poter tornare a Firenze. Lo scolopio riteneva ingiusta la sua estromissione. Si legge infatti in un promemoria che consegnò al Papa: «Più di cinque anni fa il cardinale Ottaviani dette ordine al mio padre generale di trasferirmi da Firenze senza offrire spiegazioni. Ho motivo di credere che tutto dipendesse dalla mia amicizia col professor La Pira, come se fossi io l'ispiratore della sua politica». Balducci non abbandonò mai l'amico professore, neanche nel periodo più difficile della sua carriera politica, cioè quando questi fu escluso dalle liste elettorali della Dc. Quando riuscì a tornare a Firenze, Balducci fu costretto a risiedere a Fiesole, fuori dunque dalla diocesi che aveva a capo Florit. Nacquero in quegli anni, complice anche il caso Isolotto, i prodromi della cosiddetta «svolta antropologica» balducciana, originata dalla delusione verso il mancato rinnovamento della Chiesa.
«Penso che la polemica non abbia mai convertito nessuno, e invece la testimonianza converte o prepara le conversioni». Ernesto Balducci credeva così tanto in queste sue parole che nel 1958 fondò una rivista e la chiamò Testimonianze – notare il plurale. Testimonianze è la sua eredità più viva; oggi diretta da Severino Saccardi, consigliere regionale del Pd, è una rivista laica, «impegnata nel dialogo tra culture e religioni, nella riflessione aperta sui grandi temi planetari dei diritti umani, del rispetto ambientale, della cooperazione, della solidarietà e della pace». In sintonia col messaggio balducciano, essa «si pone oggi in una posizione di frontiera, all'insegna della collaborazione tra credenti e non credenti». All'apice del successo promuoveva convegni di massa e aveva ventimila abbonati. Oggi, nel 2008, compie 50 anni. Ne è passato di tempo da quando, come spiega Saccardi, «gli editoriali erano collettivi e non firmati», da quando «Luciano Martini, che era direttore all'epoca, raccoglieva le opinioni di tutta la redazione. Adesso, nella nostra società segnata dall'individualismo, sarebbe impensabile». « Testimonianze – continua Saccardi – ha vita lunga, mezzo secolo di esistenza. Del '68, verso cui credo non si debba provare né pentimento né nostalgia, oggi ci rimane un'istanza di fondo, cioè il bisogno di una maggiore giustizia, un dialogo tra culture diverse e una forte esigenza di conciliare insieme spiritualità e rigorosa laicità, che oggi è merce rara. Il timbro caratteristico della rivista è appunto questo: essere formata da credenti e non credenti, da persone di confine». Un sentimento che appartiene soprattutto all'ultimo Balducci, quello della svolta appunto, quello de «L'Uomo planetario», apparso per la prima volta nel 1985 a cura delle Edizioni Camunia di Milano. Quello che, aggiunge Saccardi, «diceva che il cristiano deve essere lievito del mondo, non ponendo barriere ma favorendo il dialogo fra le culture».
«Se tu scegli di vivere facendo centro su di te, hai voglia a studiare, hai voglia a diventare un luminare universitario, un premio Nobel: non capirai niente. Se tu scegli di mettere il centro di te fuori di te, di metterlo questo centro nelle cose e nelle creature, tu hai la sapienza»: Ernesto Balducci, il teologo degli ultimi. Altro che «ubi episcopus, ibi Ecclesia».
David Allegranti - 7/3/2008

venerdì 7 marzo 2008

Corriere. "Se vince la passione"

«Io provo dolore a vedere questi amori così fragili che sono disposti a resistere pochissimo, minimamente, che scommettono di durare così tanto e poi così poco durano, che fanno presto a tirarsi indietro». Così scrive Luca Nannipieri nel suo intenso romanzo – sotto forma di lettera-grido inviata a «Valeria, mia dolce compagna» – contro i rapporti usa e getta, «Chiamami ancora amore». L'infame Zeitgeist del Duemila è puro nichilismo che colpisce la famiglia. Due persone non riescono a invecchiare insieme, amandosi, perché il parossismo della libertà personale, che assomiglia al raglio di un asino (I-o, i-o, i-o), ci impone una società in cui le unioni si frantumano alla prima difficoltà. Il libro di Nannipieri è tante cose: un reportage dalla dilaniata Bosnia che offre lancinanti rovine di guerra, un urlo contro il modello McDonald's delle relazioni sentimentali, un manifesto per ricostruire una società che sta distruggendo il suo elemento primigenio (il nucleo famigliare) e per rifondarla sulla solidità di un amore che ha che fare con l'etica e la responsabilità.
Quell'amore che «o resiste nelle difficoltà e nelle prove dure oppure è una cazzata».
David Allegranti - 6/3/2008
Luca Nanniperi, Chiamami ancora amore, Mauro Pagliai editore, euro 9

martedì 4 marzo 2008

Corriere. "Su Openpolis i numeri della politica in Toscana"

Non esiste solo Wikipedia per trovare informazioni sui politici fiorentini. C'è anche il sito Openpolis.it, progetto no-profit dell'associazione Depp (democrazia elettronica partecipazione pubblica).
Attraverso il motore di ricerca del sito è possibile sapere «chi sono i tuoi rappresentanti» nella zona. Scrivendo Firenze compare una lista di 264 politici che sono stati eletti (dal parlamento europeo al consiglio comunale) nelle nostre circoscrizioni. Di ogni amministratore è presente una scheda personale contenente una breve biografia e la lista degli incarichi istituzionali ricoperti nel corso degli anni (l'idea, ambiziosa, è importare «tutti gli incarichi nelle amministrazioni locali dal 1985 a oggi»). Alcune pagine, però, non sono aggiornate. Come quella di Leonardo Domenici (ultima modifica: 17 settembre 2007). Come nel caso di Wikipedia, si può contribuire a Openpolis attraverso donazioni. Per ognuno dei parlamentari sono segnate presenze e come hanno votato in Aula.
D.A. - 2/3/2008

domenica 2 marzo 2008

Corriere. "Domenici contro Wikipedia"

Sindaco e Cioni chiedono i danni per diffamazione alla enciclopedia autogestita on line

La frase sotto accusa: «Le mogli nel Cda di Firenze Parcheggi»

Leonardo Domenici deve essersi imbattuto nella sua voce su Wikipedia, digitando il proprio nome su Google (che, per la cronaca, è al terzo posto). Ne è venuto fuori un putiferio. Domenici e l'assessore Graziano Cioni hanno infatti querelato Wikipedia «per diffamazione e calunnia». Sul sito dell'enciclopedia libera, alla voce Leonardo Domenici, si imputano al sindaco e alla sua giunta alcuni provvedimenti che «hanno suscitato critiche da parte della cittadinanza». Tra questi, viene citato «l'affidamento dei parcheggi cittadini alla società Firenze parcheggi del cui cda fanno parte le mogli di Domenici e dell'assessore Cioni » - fatto questo assolutamente falso, che ha già portato alla condanna in primo grado per diffamazione un commerciante sancascianese.
Su wikipedia, è possibile verificare l'origine della voce modificata. Tramite una ricerca del numero ip, codice identificativo di chi viaggia su internet, che è stato lasciato nella cronologia, è possibile risalire alla probabile ubicazione del computer dove è stata inserita la notizia falsa. E' possibile che si tratti di un pc della Biblioteca di Pedagogia di Firenze, che ha due sedi, una in via Magliabechi e l'altra in via Buonarroti. Occorre tenere presente però che l'enciclopedista-calunniatore di Wikipedia potrebbe aver camuffato il suo indirizzo di internet protocol e quindi potrebbe anche non trovarsi a Firenze. Già in altre occasioni Domenici e Cioni sono stati oggetto di menzogne, riguardanti le loro consorti, su presunte partecipazioni nell'azionariato di Firenze parcheggi.
Nella ricostruzione, chiaramente di parte, sono presenti critiche vicine alla sinistra dei movimenti dezordiana, come l'ordinanza anti lavavetri, ma anche delle altre opposizioni.
Nel 2006 un negoziante di San Casciano fu condannato in primo grado a pagare 1700 euro per aver diffamato Domenici e Cioni. Qualche anno prima, nel 2003, il commerciante si era infatti sfogato con una cassiera della banca dove era andato a pagare una multa comminatagli dai vigilini. «Il 65% di questi soldi vanno in tasca alla moglie del sindaco e il 35% al figlio dell'assessore Cioni », disse. In un'altra occasione un ignaro tassista insinuò altre falsità del solito tenore in presenza di due clienti, due donne, una delle quali si qualificò dicendo: «Basta così, ci dica quant'è la corsa, scendiamo qui. Sono la moglie di Cioni, ci vediamo in tribunale». Questa volta però potrebbe essere più difficile vedere in tribunale l'autore del taroccamento wikipedista.
D. Al - 1/3/2008

Corriere. "La rivoluzione mancata dell'Isolotto"

Sessantotto o 1967 più uno: comunque lo si chiami e (de)scriva con un'addizione per camuffarlo o con la maiuscola, come una pennellata d'assoluto sono trascorsi 8 lustri da quando s'accese la stagione cavalcata dall'«orda d'oro». E di '68 ce ne sono stati molti, tra cui uno cattolico, florido di passioni, idee e contrasti, e quello fiorentino è stato emblematico grazie al suo Isolotto e a Don Mazzi.

Quando il mondo era un Isolotto
Così la periferia fiorentina divenne un caso planetario: "Si mosse anche la Cia"


SEGUE DALLA PRIMA
E per farsi un'idea di quel clima da teologia della rivoluzione bisogna partire proprio dalla zona sud-ovest di Firenze, perché come ha scritto Roberto Beretta, l'Isolotto «è una delle migliori dimostrazioni di come e quanto il Sessantotto agì sui cattolici… perché la comunità toscana è l'esempio di come il Sessantotto spinse verso destini di forte contrapposizione alcuni gruppi già esistenti da tempo e fino ad allora tutt'altro che estremisti». L'Isolotto di quell'epoca è l'Isolotto di don Mazzi (e dei suoi scontri col cardinale Ermenegildo Florit), è la lettera di solidarietà al gruppo giovanile cattolico de «I protagonisti» che occupa la cattedrale di Parma; l'Isolotto è la sua piazza - il crocicchio della quotidianità - , è Alexander Langer che fa nottate, per un mese di fila, a redigere il notiziario; l'Isolotto è «Incontro a Cristo», il catechismo inviso alla gerarchia ecclesiastica, è il teologo d'avanguardia José María González Ruiz che solidarizza con la comunità e il suo parroco, cui la Curia e persino il papa, Paolo VI, chiedono un ravvedimento, per quella missiva parmense e quelle posizioni troppo eterodosse. «Se la Chiesa non si fa merda - diceva il teologo spagnolo è una merda di Chiesa». E questa certamente non si fece escremento, ma fu costretta a confrontarsi con l'utopia isolottana, che voleva rimettere al centro - scrive la Comunità nei suoi documenti - il «popolo di Dio», per una «Chiesa dei poveri».
C'è una parola che don Mazzi va ripetendo da anni, a proposito degli ideali sessantottini, ed è «speranza». Scrive nell'ultimo numero di MicroMega dedicato a quel momento tra mito e realtà: «Nel '68 ho fatto anch'io molte scoperte… ma una mi sembra che possa in qualche modo racchiudere tutte le altre: la gestazione planetaria della speranza». Che rimane oggi di quell'utopia? «Bisogna distinguere - dice oggi don Enzo Mazzi - due aspetti della realtà storica. Uno è contingente. Su quel piano lì, è stato rimangiato quasi tutto ciò che il 68 aveva conquistato. Però c'è un'altra dimensione della storia, che va misurata sulla base dei "segni dei tempi". Ecco, sul piano del paradigma di lunga scadenza, rimane tutto in piedi. L'anima profonda del '68 è ancora lì, sta ancora lavorando, in sottofondo». Speranza è parola che torna spesso nei discorsi di don Mazzi, perché, spiega, «io credo che essa sia l'anima profonda della storia nel suo complesso. Nel '68 abbiamo fatto un'esperienza che ci ha fatto vedere come questa gestazione della speranza avesse una dimensione davvero planetaria. Ritrovavamo i segni di quella gestazione in tutti gli angoli del pianeta. Perché lo possiamo dire, noi dell'Isolotto? Perché abbiamo avuto un'esposizione davvero globale».
Così internazionale, aggiunge, che persino Paolo VI si scomodò: «Nel dicembre 68, il Papa mi scrisse una lettera autografa, in cui mi diceva di andare da Florit per chiudere la vicenda. Il giorno dopo prendemmo due macchine e in dieci andammo a Roma, per parlare col Papa. Fummo ricevuti dal cardinal Benelli (Giovanni, ndr), che era il segretario di Stato, e che poi sarebbe venuto come vescovo dopo Florit qui a Firenze. Riuscii a parlare solo con lui, che mi disse di mettere fine alla vicenda. In Vaticano ricevevano lettere dai vescovi dell'Australia, dalla Nuova Zelanda, dall'America latina, per sapere cosa stava succedendo. Non mi disse che si era mossa anche la Cia». Il caso dell'Isolotto fu tanto planetario che il libro scritto dalla Comunità per la Laterza, «Isolotto 1954-1969», venne tradotto in francese, tedesco, spagnolo, portoghese. «Ci arrivarono migliaia di lettere e scoprimmo che di Isolotti era pieno il mondo», dice.
Gli abitanti della Comunità che hanno respirato quell'epoca sono animati dallo stesso spirito di don Mazzi. Un libro ricco di testimonianze sul Sessantotto isolottano è stato pubblicato nel 2000 da Centrolibro. «Si era venuti a stare all'Isolotto nel '55 - scrive un'abitante del quartiere, Nella Orsini - . Mi trovai subito bene nella parrocchia perché io venivo da una famiglia comunista. Il babbo aveva votato sempre così; anche la mamma, ma lei andava in chiesa. Diceva: la religione è una cosa, la politica un'altra. Anche io pensavo così, ma in questa chiesa le due cose mi parevano unite davvero, cioè la mia fede religiosa e la mia fede politica». Un altro isolottano, Giancarlo Zani, ricorda che già nel '65 quella parrocchia forniva molti stimoli. Scrive: «In chiesa, dopo cena, si approfondiva e si ragionava del Concilio e delle grandi speranze che doveva portare nella struttura ecclesiastica e nel modo di vivere il Vangelo. La parrocchia era un grande fermento di iniziative, si discuteva di tutto: dal catechismo al Vangelo. Era una grande palestra di aggregazione, incominciavano a conoscere le idee di ciascuno di noi». Oggi l'archivio storico della Comunità del-l'Isolotto è ricchissimo di foto, lettere, libri e documenti del genere; tutto stipato in una di quelle casette coi mattoni rossi, in via degli Aceri, che sono l'eredità residua di quel «grande rimescolamento» che, dice don Mazzi dopo aver richiuso gli schedari, «è stato la fine del medioevo che ci portavamo dietro». Il 1968, quando tutto il mondo era un Isolotto. (1. Continua)

David Allegranti - 1/3/2008

sabato 1 marzo 2008

Corriere. "E appena gira voce i furbi spariscono"

Piove ed è mercoledì: di invalidi su quattro ruote – falsi o veri che siano – il centro è meno gremito. Sono il venerdì e il sabato pomeriggio, ci dicono gli ispettori della polizia municipale, i giorni migliori per vedere all'opera gli usurpatori di permessi, quando lo shopping per le vie del centro stimola la trasgressione (che pare, dati alla mano, un effetto simile alla diuresi, tanto è incontenibile), quando la scarpa Prada trasforma il normodotato che viaggia sulle sue gambe in un contraffattore finto inabile. Giusto il tempo, beninteso, di attraversare le porte telematiche che presidiano il perimetro del centro cittadino. Il caso però è scoppiato, ci sono centocinquanta persone indagate per utilizzo abusivo di permesso per portatori di handicap. La voce che c'è un'inchiesta in corso magari si sarà pure sparsa. A giro però se ne trovano, e non poche, di macchine col cartoncino plastificato arancione, quello con l'ologramma che sembra essere diventato un prezioso passepartout di contrabbando per sfuggire a ztl e telecamere, una passaporta à la Harry Potter per entrare magicamente nelle vie fashion-strategiche di Firenze. In piazza Strozzi, zona ambita dai portatori non di handicap ma di contrassegni falsi, ci sono i lavori. Quindi niente sosta selvaggia. Prendiamo però via Cavour, che non è fashion ma di sicuro è strategica. Alle 16: 55 di ieri, su cinquanta macchine parcheggiate contate, ben diciassette tenevano sul cruscotto la figura stilizzata di un uomo in carrozzella. Dal pandino alla station wagon, dalla berlina al monovolume, tutte in fila, alternate alle auto dei residenti e a quelle dei gruppi consolari. Senza dimenticare, ovvio, chi non ha manco un tagliando e si fa bastare il santino della Madonna a proteggerlo dalle multe.
All'inizio di via Cavour, un signore alla guida di un minivan è dotato del magico cartoncino. Imbocca in maniera decisa la strada, poi però si ferma, poco prima degli occhi elettronici. Mica l'avranno informato in quel momento delle indagini, dei cinque anni di reclusione che rischierebbe e della multa da 1.549 euro che potrebbero infliggergli, se fosse un trasgressore? Tentiamo di raggiungerlo, ma poi se ne va, incalzato da un'altra macchina dietro che non ha il tagliando, ma ha fretta. Mannaggia, era l'unico – altri non ne abbiamo trovati: le voci di indagini poliziottesche corrono – al quale chiedere, un po' come fanno i vigili, di darci prova del suo status. 17:20. Via dei Servi, poco distante, offre uno spettacolo più simmetrico. Su ventinove macchine, tredici hanno il cartoncino. Ci sono altre automobili col foglio dei residenti e un'altra macchina che appartiene a un gruppo consolare. Ecco, forse abbiamo trovato quello che stavamo cercando: una Bmw coi purosangue nel motore, una di quelle che, insieme ai suv, pare vadano di gran moda fra i falsi invalidi del sabato pomeriggio.
Però questa non ha niente, manco il santino. A lui forse vigili o vigilini faranno la multa. I diversamente furbi invece questa settimana potranno starsene tranquilli. E soprattutto non dovranno inventarsi memorabili scuse, come quella raccontata dal tizio che, colto in flagrante dalla Municipa-le, ha detto di essere andato «a prendere mio padre» (peccato che il padre fosse morto due anni prima e che la vigilessa ne fosse al corrente). Potranno stare tranquilli, perché gli uomini in borghese della Polizia Municipale, che hanno creato un database contenente tutti i permessi (tutti catalogati in modo da incrociare i dati e verificarne l'uso o l'abuso), non sono usciti «in missione » e lo faranno solo fra nove-dieci giorni. Giusto per dare il tempo ai falsari di fotocopiarsi qualche altro permesso.
David Allegranti - 28/2/2008

Corriere. "Poggi, il fiorentino con tre maglie"

Un grande tifoso col cuore gigliato diviso a metà fra il cinema e il pallone; un imprenditore attaccato in maniera viscerale alla casacca viola della Fiorentina, quella bianca dei calcianti di Santo Spirito e quella biancorossa della Rondinella. Se n'è andato a 79 anni, dopo una lunga malattia, l'appassionato Ugo Poggi, che per due dolorosissimi mesi fu presidente di quella Fiorentina che retrocesse e fallì, sprofondando in serie C; era il 2002, l'anno più difficile della storia viola, l'anno del penultimo posto in campionato, l'anno che segnò la fine dell'epoca Cecchi Gori.
Un sanfredianino sanguigno, Poggi, uno che «non le mandava a dire» - come ripetono in queste ore i tifosi viola - , simbolo di un calcio che oggi non c'è più, un calcio più trasparente, con più divertimento e meno quattrini. Era così sanguigno che una volta fu pure multato dalla Lega Calcio, per aver solidarizzato troppo con gli ultrà fiorentini. I quali, in quei mesi tormentati, se ne andavano a giro con una maglietta con la scritta «indegni». «Se volete - disse lui in una trasmissione radiofonica sono pronto ad aiutarvi a distribuire le maglie ai calciatori, perché tra loro ci sono alcuni uomini, come Di Livio, ma anche alcuni stronzi». Divenne celebre, poi, il suo manrovescio al giornalista Massimo Sandrelli. E non si fece problemi a biasimare pubblicamente Nuno Gomes e Marco Rossi, quando chiesero la rescissione del contratto. «Hanno agito così - disse Poggi - per 50 milioni di lire, spero che cambino idea. Gomes è un grande giocatore, ma il suo connazionale Rui Costa una cosa del genere non l'avrebbe mai fatta».
Imprenditore cinematografico, Poggi ricoprì a lungo la carica di vicepresidente della società viola, dal '93 al 2000, dopo essere stato anche presidente della Rondinella, la seconda squadra di calcio di Firenze. Due anni dopo l'abbandono non seppe dire di no a Vittorio Cecchi Gori e sua mamma Valeria, che gli chiesero di tornare, questa volta nelle vesti di massimo dirigente. «Sarò un incosciente, ma se ho deciso di accettare l'incarico l'ho fatto per amore nei confronti di Firenze e della Fiorentina », furono le sue prime parole da presidente.
«Quando era vicepresidente, e io ricoprivo una carica importante nella società viola, stavamo molto insieme, soffrendo e gioendo per la nostra Fiorentina», ha ricordato ieri Giancarlo Antognoni ai microfoni di Radio Blu. «Ha sofferto le vicende negative della società più di altre persone, visto quanto era attaccato alla maglia viola e ne ha risentito in prima persona», ha aggiunto. Sarebbe stato facile per tanti, ma non per lui, dire a Cecchi Gori: «No, grazie». Ma non è mai stato un voltagabbana, Ugo Poggi. Per questo in tanti lo rimpiangono e dicono che è scomparso ciò che teneva insieme le due metà dell'universo pallonaro di Firenze, quello giocato all'Artemio Franchi e quello sangue e merda in piazza Santa Croce; per questo i lettori di Fiorentina. it dicono che è sparito «l'anello (ormai) mancante tra calcio e calcio storico», un «uomo che per la Fiorentina ha fatto tanto, accollandosi i problemi di una scriteriata gestione e mollando quando la barca era oramai affondata». Per questo, insomma, i sostenitori viola scrivono che era un «tifoso verace», uno che s'è sobbarcato i guai del «laureato cotonato », cioè VCG.
I funerali si svolgeranno oggi pomeriggio, alle 14, nella parrocchia di San Frediano in Cestello, in piazza del Cestello. Noi intanto lo salutiamo da queste colonne, ricordandolo sopra tutto per la sua schiettezza. Non sembri quindi una mancanza di rispetto se ci uniamo all'addio affettuoso dei tifosi su internet: «Bona Ugo».
David Allegranti - 27/2/2008

Corriere. "Il ring eccellente delle europee"

Ha tutto ciò che occorre per autoinvitarsi (quasi) ovunque. Massì, pure al Parlamento europeo. Il cellulare fico, un Motorola V3, il sorriso sornione e quell'aria da cinquantenne che non vuole invecchiare, in giacca e camicia sbottonata, senza cravatta. Leonardo Domenici, manco fosse un Baricco qualunque, di recente ha anche scoperto la boxe, passione che gli è stata trasmessa da giovane dal nonno pugile.

SEGUE DALLA PRIMA
L'autocandidatura è arrivata a mezzo stampa. In un'intervista a Repubblica (23 febbraio), LD ha parlato del suo futuro politico-elettorale. Alla domanda se Claudio Martini, che vorrebbe presentarsi in Europa, possa stare tranquillo, il sindaco ha detto che il governatore «è un vero amico, fra me e lui mai stati problemi. Lui però scade nel 2010 mentre le elezioni europee arriveranno nel 2009».
E ha aggiunto, per non lasciare dubbi: «Quella europea potrebbe essere una bella esperienza. D'altra parte si può contribuire al Pd da Bruxelles, da Roma o anche da Firenze». D'altra parte, il centrosinistra rischia seriamente di perdere le elezioni politiche del 13 e 14 aprile. D'altra parte, il secondo mandato di Domenici scade fra dieci mesi. D'altra parte, il boxeur di Palazzo Vecchio sembra aver già esaurito un bel po' di ruoli, visto che non si può ricandidare a sindaco e che non si è candidato alla Camera né al Senato (come forse per un po' ha desiderato, anche se lui sostiene che la decisione è stata sua). I rischi sono dunque ben calcolati: LD ha fatto il sindaco per due volte di seguito, se vince Berlusconi non ci sono ministeri né sottosegretariati da occupare, chi glielo fa fare di andare in pensione a cinquant'anni?
In più, casomai volesse proporsi alla presidenza della Regione, dovrebbe affrontare parecchio fuoco amico e si ritroverebbe l'ostilità di Rifondazione. «Meglio un democristiano che Domenici », dicono i rifondaroli nei corridoi del parlamento regionale, che mai hanno digerito l'esclusione nella giunta fiorentina. Il Prc nel 2007 è invece riuscito ad ottenere un'intesa con Martini — cui piace ricordare di essere stato un sessantottino e che è certamente più vicino ai movimenti di quanto lo sia il sindaco — facendo nominare Eugenio Baronti assessore alla ricerca, all'università, alla casa. In Palazzo Vecchio no, non c'è mai stata concordanza politica fra riformisti e sinistra negli ultimi nove anni. Meglio allora finire il mandato di sindaco e partire per Strasburgo, da dove peraltro potrebbe tornare l'ex margheritico Lapo Pistelli, europarlamentare Pd e vicepresidente dell'Alde (Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l'Europa), per correre alle amministrative del 2009. Un'ipotesi che però non piace a LD.
Il paradosso di questa situazione è che il curriculum politico di Martini è più europeo di quello di Domenici: è membro del comitato delle regioni dell'UE, presidente della conferenza delle regioni periferiche marittime d'Europa, rappresentante del comitato delle regioni nella convenzione europea che ha fatto nascere la nuova costituzione dell'Unione, vicepresidente del gruppo socialista del comitato delle regioni, membro effettivo della presidenza del Partito socialista europeo, presidente del Forum delle reti delle regioni del mondo e, dalla settimana scorsa, anche presidente della commissione affari costituzionali del Comitato delle regioni.
In teoria sarebbe lui il candidato ideale all'assemblea di Strasburgo, con i suoi libri waltermondialisti, tra i quali l'ultimo, del 2005, sui mutamenti climatici, "Cambiare aria al mondo". E non è da uno come Martini che ci si aspetterebbe di sentire l'obamiano e ormai inflazionato «Yes, we can»?
Inoltre, quanto a popolarità, il governatore se la passa meglio di tanti suoi colleghi. Secondo un sondaggio di Ekma, Martini sarebbe in quinta posizione per consenso (54.6%) nella classifica dei governatori italiani, con Roberto Formigoni al primo posto (Lombardia, 61.3) e Riccardo Illy (Friuli, 59.3) al secondo. Sarebbe grottesco se alle Europee il Pd candidasse davvero Antonio Bassolino (40% di popolarità, per la cronaca).
La scelta di Domenici di non includere in giunta la sinistra movimentista si rivela però, adesso, in sintonia con la decisione veltroniana di non creare un'altra coalizione-guazzabuglio come quella guidata da Romano Prodi. La giunta di Firenze, amministrata da un dalemiano, d'un tratto s'è ritrovata più veltroniana di quella di Martini. Colpo di fortuna o abilità politica? Poco importa, a LD, che una volta definì «provinciali » i suoi concittadini per le proteste nate attorno alla tramvia e che, appunto, di tutto questo provincialismo s'è scocciato. Il boxeur di Palazzo Vecchio guarda all'Europa e sembra dire solo: toccherà al nuovo sindaco trovare un accordo con la sinistra arcobaleno. D'altra parte, scusatemi, io ho i guantoni da mettere in valigia.
David Allegranti – 26/2/2008