sabato 15 marzo 2008

Corriere. "Denis, tagliatore di teste: 'Politica più forte dell'amicizia'"

«Non c'è stata nessuna vendetta politica». Denis Verdini risponde così a chi lo accusa, da dentro Forza Italia, di aver costruito le liste elettorali inserendo solo i propri uomini di fiducia, senza tener conto di chi negli ultimi anni ha lavorato duramente in Consiglio regionale.
Due giorni fa è scoppiato il caso di Maurizio Dinelli, capogruppo azzurro in Regione, che si è dimesso attaccando le scelte di Verdini. «L'arrabbiatura di Dinelli – dice il capo della segreteria politica del coordinamento nazionale degli azzurri – è legittima fino a un certo punto, perché a livello nazionale Forza Italia ha deciso di non mettere i consiglieri regionali nelle liste, visto che sono ben 156. Sono state fatte delle eccezioni nelle regioni dove il Senato è a rischio (Piemonte, Liguria, Abruzzo, Calabria, Lazio). In questi casi i consiglieri sono stati messi nella quota del premio di maggioranza, in maniera che portino voti alla coalizione. Quanto a Dinelli, non rimarrà disoccupato, è capogruppo regionale ». Però ha dato le dimissioni, che il gruppo azzurro ha deciso di «congelare» fino a dopo le elezioni. «Quando uno dà le dimissioni, di solito si aspetta che vengano respinte. Non tocca a me accettarle, c'è un gruppo che ha la sua autonomia. Però mi sembra un modo un po' bizzarro: congelare le dimissioni, che vuol dire?».
Fra gli italo-forzuti qualcuno lo ha ribattezzato il «tagliatore di teste ». Lui però, che viene dipinto dai detrattori interni al partito come un princeps legibus solutus, non gradisce la definizione. È un mestiere difficile essere il capo del centrodestra da queste (rosse) parti. E Denis da Fivizzano (di cui è originario anche il poeta-politico Sandro Bondi), che fra le altre cose è editore del Giornale della Toscana, presidente del Credito cooperativo fiorentino e consigliere delegato del Foglio di Giuliano Ferrara, è conscio di aver svolto, sulle candidature, un lavoro sgradevole per chi è rimasto fuori. Che però andava fatto.
Raccontano che Angelo Pollina, vicepresidente forzista del Consiglio regionale e amico di Verdini, ci sia rimasto male. Ci teneva a essere candidato in Parlamento. Dice Verdini: «Sono molto dispiaciuto, anche sul piano umano perché Pollina è un amico, ma certe volte le vicende della politica sono più forti. E la decisione presa a livello nazionale vale anche per lui». Verdini inoltre non accetta le accuse «di dispotismo» che vengono dall'interno di FI. Il coordinatore regionale è un tipo sanguigno. Lo sa Carlo Taormina, che un paio d'anni fa lo accusò di gestire il partito toscano in maniera sovietica e di aver fatto perdere al partito voti. «Verdini – disse l'avvocato – ha condotto il partito alla disfatta più clamorosa, una caduta verticale che non ha pari in Italia». La replica di Verdini non si fece attendere: «Avessi vent'anni risolverei la questione a modo mio». Per Verdini – ribadisce oggi a chi gli muove le stesse accuse – «la contrazione dei voti è stata fisiologica. FI ha avuto una flessione a livello nazionale fra il 2001 e il 2006 dal 29,7 a 23,9%. La Toscana non è mica in Argentina, è in Italia. D'altronde, anche in Lombardia, dove c'è un presidente straordinario come Formigoni, c'è stato un calo. Con Forza Italia e An insieme avremo risultati positivi».
David Allegranti - 14/3/2008

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