mercoledì 19 marzo 2008

Corriere. "Tibet, la bandiera sbiadita dei pacifisti"

di DAVID ALLEGRANTI
Nel marzo del 2003, quando scoppiò la seconda guerra del Golfo, il motto dei pacifisti era: «Pace da tutti i balconi». Anche Firenze si riempì di bandiere arcobaleno. Lo slogan kennedyano «siamo tutti americani », tornato in voga dopo l'11 settembre, divenne «siamo tutti iracheni». Qualcuno disse pure: «siamo tutti antiamericani».
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Oggi la repressione cinese in Tibet sta occupando le prime pagine dei giornali. Matteo Mecacci (rappresentante del partito radicale transnazionale all'Onu a New York) domenica scorsa si chiedeva che fine hanno fatto i «pacifisti fiorentini che sventolano bandiere arcobaleno dalle finestre» e «perché a Firenze a nessuno viene mai in mente di protestare contro l'infamia di uccidere monaci». L'editoriale del Riformista di ieri, «Contro quelli che del Tibet se ne fregano», sosteneva che «tra di noi… ci sono molti "cinesi", persone per bene che però non vogliono guai, che sanno che la Cina è già una superpotenza… Poi ci sono gli "anti-americani", quelli che sarebbero pronti a tutto in nome di tutti i popoli angariati dall'altra e più cattiva superpotenza; ma non muovono un dito se non c'è occasione di bruciare una bandiera a stelle e strisce».
La sinistra toscana s'è fatta trovare un po' impreparata e nella giornata di ieri c'è stata una gran rincorsa al comunicato e alla dichiarazione sinotibetana d'urgenza. Il presidente della Regione Claudio Martini, che sabato ha condannato con una nota la repressione cinese della rivolta, sembra iscriversi al partito di quelli che al Tibet ci tengono. Per Martini si tratta di «una protesta che nasce per sensibilizzare l'opinione pubblica internazionale all'indipendenza del territorio al confine tra Cina e India nel momento in cui la Cina si appresta ad ospitare le Olimpiadi». Secondo il governatore, Pechino compie un errore «nel pensare che con la violenza si possa fermare le ragioni dei tibetani, così come dimostrano le vicende birmane. La pace può essere raggiunta solo attraverso il rispetto dell'altro e con il raggiungimento della libertà per un popolo oppresso ormai da troppi anni». Domani l'assessore regionale alla cultura Paolo Cocchi – insieme all'Orchestra Pucciniana e alla Fondazione Strozzi – partirà per la Cina. Nelle prossime settimane sarà a Pechino anche Giuseppe Bertolucci, assessore regionale alle politiche del mare, per una missione dedicata alle tematiche portuali. «Vogliamo valorizzare la cultura cinese e italiana ma anche quella tibetana, che non può essere nascosta», ha aggiunto ieri Martini, che ha invitato il Dalai Lama al Meeting di San Rossore 2009 (dedicato a Galileo e al dialogo tra scienza, cultura e pace).
Dice Ornella De Zordo, consigliere comunale di unaltracittà/unaltromondo: «È vero che finora non ci sono state posizioni ufficiali del movimento pacifista fiorentino. Il movimento per la pace non è un partito e lavora su tempi diversi. Si parla di boicottare o meno le Olimpiadi, come se fosse l'unico mezzo che a livello internazionale esiste per fare pressioni sul governo cinese. Dico che non ci sono solo le Olimpiadi, che pure devono essere usate come momento di denuncia e di pressione sul governo di Pechino. Faccio notare che esiste un commercio delle armi e che l'Italia, nonostante ci sia un embargo, nel 2005 ha venduto armi a Pechino per 400 mila euro. Ci sono molte forme di pressione sul governo cinese che possono essere fatte». Non si protesta soltanto con le bandiere appese ai balconi, dice la De Zordo. «Ci vogliono anche le sanzioni economiche. Da pacifista mi sento di dirlo: sono stanca di sentire parole di uomini politici che condannano la Cina a voce, ma poi non fanno niente per migliorare la situazione ». A chi parla? A Martini? «Insomma, non so quanto il governatore di una regione ne abbia la possibilità, però certo: bisogna iniziare a interrompere i rapporti commerciali con Pechino. Questo sarebbe un atto concreto. La Cina non rappresenta una realtà non democratica, questo mi pare sia molto chiaro al movimento pacifista. Però non accetto questa critica dal partito radicale, che si è svegliato sui fatti della Cina, in quanto a pace. Ognuno guardi in casa propria invece di criticare gli altri. Non è che io abbia visto moltissimi del partito radicale alle manifestazioni pacifiste fatte su altri fronti».
Patrizio Mecacci, ex segretario della sinistra giovanile e ora nella segreteria regionale del Pd, dice di sentirsi un pacifista.
Ma spiega: «Matteo Mecacci ha pienamente ragione, perché c'è un movimento per la pace che si è ripiegato su se stesso, attorno a logiche identitarie e, assumendo una dimensione settaria, ha perso di vista i problemi fondamentali del mondo. Ci sono tante begucce interne al movimento della pace e poca tensione sui grandi problemi globali. C'è una gara di autorivendicazione personale. Io ho conosciuto un altro movimento, con altre ambizioni, con una spinta diversa. Forse sarà colpa anche dello scenario politico nazionale, che obbliga a inseguire l'elettorato su temi di natura socio-economica. Ma di sicuro occorre rifondare il movimento per la pace».
Ieri pomeriggio, davanti al consolato cinese di via della Robbia, militanti del partito radicale hanno manifestato per sostenere il popolo tibetano e il Dalai Lama. Pd e sinistra arcobaleno – ammettono – non ne erano a conoscenza. Questo perché, dicono, «il partito radicale lavora un po' per conto suo». Ieri in consiglio comunale, durante la discussione di un ordine del giorno su Cina e Tibet, Giovanni Donzelli, consigliere comunale di An, ha presentato una mozione cui gli assessori Paolo Coggiola e Gianni Biagi avrebbero risposto - sostiene Donzelli - «mostrando il pugno chiuso e sfoggiando il simbolo della falce e martello». Una certa sinistra è riuscita ancora a farsi notare. Ce n'era bisogno?

David Allegranti - 18/3/2008

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