domenica 2 marzo 2008

Corriere. "La rivoluzione mancata dell'Isolotto"

Sessantotto o 1967 più uno: comunque lo si chiami e (de)scriva con un'addizione per camuffarlo o con la maiuscola, come una pennellata d'assoluto sono trascorsi 8 lustri da quando s'accese la stagione cavalcata dall'«orda d'oro». E di '68 ce ne sono stati molti, tra cui uno cattolico, florido di passioni, idee e contrasti, e quello fiorentino è stato emblematico grazie al suo Isolotto e a Don Mazzi.

Quando il mondo era un Isolotto
Così la periferia fiorentina divenne un caso planetario: "Si mosse anche la Cia"


SEGUE DALLA PRIMA
E per farsi un'idea di quel clima da teologia della rivoluzione bisogna partire proprio dalla zona sud-ovest di Firenze, perché come ha scritto Roberto Beretta, l'Isolotto «è una delle migliori dimostrazioni di come e quanto il Sessantotto agì sui cattolici… perché la comunità toscana è l'esempio di come il Sessantotto spinse verso destini di forte contrapposizione alcuni gruppi già esistenti da tempo e fino ad allora tutt'altro che estremisti». L'Isolotto di quell'epoca è l'Isolotto di don Mazzi (e dei suoi scontri col cardinale Ermenegildo Florit), è la lettera di solidarietà al gruppo giovanile cattolico de «I protagonisti» che occupa la cattedrale di Parma; l'Isolotto è la sua piazza - il crocicchio della quotidianità - , è Alexander Langer che fa nottate, per un mese di fila, a redigere il notiziario; l'Isolotto è «Incontro a Cristo», il catechismo inviso alla gerarchia ecclesiastica, è il teologo d'avanguardia José María González Ruiz che solidarizza con la comunità e il suo parroco, cui la Curia e persino il papa, Paolo VI, chiedono un ravvedimento, per quella missiva parmense e quelle posizioni troppo eterodosse. «Se la Chiesa non si fa merda - diceva il teologo spagnolo è una merda di Chiesa». E questa certamente non si fece escremento, ma fu costretta a confrontarsi con l'utopia isolottana, che voleva rimettere al centro - scrive la Comunità nei suoi documenti - il «popolo di Dio», per una «Chiesa dei poveri».
C'è una parola che don Mazzi va ripetendo da anni, a proposito degli ideali sessantottini, ed è «speranza». Scrive nell'ultimo numero di MicroMega dedicato a quel momento tra mito e realtà: «Nel '68 ho fatto anch'io molte scoperte… ma una mi sembra che possa in qualche modo racchiudere tutte le altre: la gestazione planetaria della speranza». Che rimane oggi di quell'utopia? «Bisogna distinguere - dice oggi don Enzo Mazzi - due aspetti della realtà storica. Uno è contingente. Su quel piano lì, è stato rimangiato quasi tutto ciò che il 68 aveva conquistato. Però c'è un'altra dimensione della storia, che va misurata sulla base dei "segni dei tempi". Ecco, sul piano del paradigma di lunga scadenza, rimane tutto in piedi. L'anima profonda del '68 è ancora lì, sta ancora lavorando, in sottofondo». Speranza è parola che torna spesso nei discorsi di don Mazzi, perché, spiega, «io credo che essa sia l'anima profonda della storia nel suo complesso. Nel '68 abbiamo fatto un'esperienza che ci ha fatto vedere come questa gestazione della speranza avesse una dimensione davvero planetaria. Ritrovavamo i segni di quella gestazione in tutti gli angoli del pianeta. Perché lo possiamo dire, noi dell'Isolotto? Perché abbiamo avuto un'esposizione davvero globale».
Così internazionale, aggiunge, che persino Paolo VI si scomodò: «Nel dicembre 68, il Papa mi scrisse una lettera autografa, in cui mi diceva di andare da Florit per chiudere la vicenda. Il giorno dopo prendemmo due macchine e in dieci andammo a Roma, per parlare col Papa. Fummo ricevuti dal cardinal Benelli (Giovanni, ndr), che era il segretario di Stato, e che poi sarebbe venuto come vescovo dopo Florit qui a Firenze. Riuscii a parlare solo con lui, che mi disse di mettere fine alla vicenda. In Vaticano ricevevano lettere dai vescovi dell'Australia, dalla Nuova Zelanda, dall'America latina, per sapere cosa stava succedendo. Non mi disse che si era mossa anche la Cia». Il caso dell'Isolotto fu tanto planetario che il libro scritto dalla Comunità per la Laterza, «Isolotto 1954-1969», venne tradotto in francese, tedesco, spagnolo, portoghese. «Ci arrivarono migliaia di lettere e scoprimmo che di Isolotti era pieno il mondo», dice.
Gli abitanti della Comunità che hanno respirato quell'epoca sono animati dallo stesso spirito di don Mazzi. Un libro ricco di testimonianze sul Sessantotto isolottano è stato pubblicato nel 2000 da Centrolibro. «Si era venuti a stare all'Isolotto nel '55 - scrive un'abitante del quartiere, Nella Orsini - . Mi trovai subito bene nella parrocchia perché io venivo da una famiglia comunista. Il babbo aveva votato sempre così; anche la mamma, ma lei andava in chiesa. Diceva: la religione è una cosa, la politica un'altra. Anche io pensavo così, ma in questa chiesa le due cose mi parevano unite davvero, cioè la mia fede religiosa e la mia fede politica». Un altro isolottano, Giancarlo Zani, ricorda che già nel '65 quella parrocchia forniva molti stimoli. Scrive: «In chiesa, dopo cena, si approfondiva e si ragionava del Concilio e delle grandi speranze che doveva portare nella struttura ecclesiastica e nel modo di vivere il Vangelo. La parrocchia era un grande fermento di iniziative, si discuteva di tutto: dal catechismo al Vangelo. Era una grande palestra di aggregazione, incominciavano a conoscere le idee di ciascuno di noi». Oggi l'archivio storico della Comunità del-l'Isolotto è ricchissimo di foto, lettere, libri e documenti del genere; tutto stipato in una di quelle casette coi mattoni rossi, in via degli Aceri, che sono l'eredità residua di quel «grande rimescolamento» che, dice don Mazzi dopo aver richiuso gli schedari, «è stato la fine del medioevo che ci portavamo dietro». Il 1968, quando tutto il mondo era un Isolotto. (1. Continua)

David Allegranti - 1/3/2008

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